Bologna celebra il grande scultore esponendone cinque opere monumentali intorno al Nettuno, molti piccoli bronzi a Palazzo Re Enzo e nelle gallerie private
Bologna - Cinque sculture monumentali di Henry Moore che circondano la statua del Nettuno; una cinquantina di piccoli bronzi e altrettanti disegni del grande artista inglese che occupano le sale di Palazzo Re Enzo; tutte le gallerie private cittadine che dedicano una mostra personale ad uno scultore del XX secolo: così Bologna affronta la stagione espositiva autunnale, con uno sforzo degno di nota.
Degno di nota e necessario, forse, per dimenticare la tragicomica vicenda dell'ennesimo rinvio (alla prossima legislatura, dopo un anno di dibattiti e istruttorie pubbliche) dell'inizio dei lavori per il trasferimento della Galleria d'Arte Moderna nella sede promessa della ex Manifattura Tabacchi.
Bella davvero, la mostra di Henry Moore, giunta a Bologna - dopo le tappe di Bellinzona e Napolì- grazie all'attivismo dì un gallerista privato, Franco Calarota a capo di Maggiore g.a.m., e all'organizzazione della Henry Moore Foundation e della Galleria d'Arte Moderna (fino al 14 gennaio, cat. Skira): bella perché pone in risalto la qualità più grande dello scultore, la sua capacità d'essere insieme contemporaneo e antico, incarnando nelle sue celebri figure sdraiate quella "tradizione del moderno"di cui è stato, sino ai suoi anni tardi, un riconosciuto alfiere. Una misura classica, insomma che attinge alle radici del mito per estrarne forme e linguaggi nuovi. E belle anche, in particolare, due delle numerose mostre allestite nelle gallerie private (tutte fino a metà gennaio).
Una, quella di Leoncillo alla galleria San Luca, presenta attraverso un'attenta selezione la stagione ultima di un artista che ha contribuito in maniera determinante al rinnovamento della pratica scultorea nell'Italia del dopoguerra. L'altra, alla galleria Otto, permette di avvicinarsi al percorso creativo di Tony Cragg, ormai celebrato rappresentante di quella che si suole definire la nuova scultura inglese.
Una lingua affascinante, quella di Cragg, tesa a riscattare la banalità del quotidiano attraverso interventi tra l'ironico e il corrosivo, come dimostra "social situation", tavole e sedie rese impraticabili da un'infinità di piccoli, spinosi ganci.