La ceramica fa pop

Claudio Spadoni, Il Resto del Carlino, Settembre 20, 1994
LA CERAMICA FA POP
 
Servizio di Claudio Spadoni, L'Unità 2, 26 settembre 1994
 
Faenza - «Di tutti i nouveaux réalistes Arman è quello che ha spinto più in lò il procedimento di appropriazione e che ne ha tratto le più rigorose conseguenze logiche sul piano dell'espressione quantitativa».
È quanto scriveva oltre venticinque anni or sono Pierre Restany, il critico - teorico e promotore del nouveau réalisme, il movimento artistico sorto in Francia intorno al '60, su una lunghezza d'onda molto prossima al new dada e al pop americani, (a proposito dell'artista che con le due creazioni è l'ospite d'onore dell'edizione '94 delle manifestazioni internazionali della ceramica in corso a Faenza per inziativa del Comune).
Si trattava di un realismo vero, dove immagini e oggetti comuni non venivano rappresentati attraverso la pittura o la scultura, ma "presentati" così come erano, cioè tramite il prelievo diretto. Certo, c'era a monte il precedente del ready made di Duchamp, di oggetti comuni, prodotti in serie, promossi ad opera d'arte attraverso la scelta dell'artista e la loro presentazione in un luogo artistico come una galleria. E poi c'era tutta la nuova tradizione del polimaterismo, ossia di materie varie, non artistiche, utilizzate per quadri e opere tridimensionali, soprattutto da Dadaismo e Surrealismo. Ora però si trattava di fare direttamente i conti con la società dei consumi, con la marea crescente dei prodotti e con un'idea dell'arte sempre più rivolta a superare il principio della "finzione" della rappresentazione appunto, per guadagnare in realtà. Occorreva appropriarsi artisticamente degli oggetti, trasformarli da merce banale, dotata solo di una funzione pratica, in cosa nobilitata da una funzione estetica. Restany insisteva molto sul carattere sociologico di una simile operazione, puntando su un sottofondo ideologico che invece sembrava quasi assente nel Pop statunitense. Arman (ossia Armand Pierre Fernandez) originario di Nizza - e per questo si considera anche un po' italiano - dove nacqua nel 1928, ha avuto una formazione singolare: iscritto al Cours Poisat, una scuola per bambine, ha conseguito la maturità in filosofia per passare poi alla Scuola Nazionale delle Arti Decorative di Nizza, e quindi alla scuola del Louvre, dove si accostò alla pittura surrealista. Nel frattempo aveva conosciuto Yves Klein, che sarebbe diventato a sua volta una figura centrale del nouveau réalisme e con lui divise esperienze di lavoro e di vita. Klein, profondamente influenzato dal pensiero orientale e dedito ad una pittura astratta permeata di filosofia zen e di suggestioni teosofiche, sembra, sulle prime, coinvolgere anche Arman e i suoi interessi. Ma se il mondo di Klein è tutto rivolto allo spirituale, Arman si sente attratto invece dalla materia, dalla concretezza oggettuale. Così il passaggio dal pannello al tampone, col quale realizza i "Cachets" segna la tappa decisiva verso quella che sarà la sua cifra espressiva matura, caratterizzata dalle "accumulazioni" di materiali e oggetti. La prima "accumulazione" del '59, consisteva in un numero impreciso di valvole per la radio raccolte entro un contenitore. Seguirono sveglie, viti, pistole, tubetti di colore schiacciati, pennelli, violini, sigarette, gessetti, trombe, spazzolini, residui di colazioni, sempre fusi nel plyesten e un'infinità di altre cose bloccate entro teche. L'avventura del nouveau réalisme - il cui manifesto firmato anche da Arman uscì nell'ottobre del 1960 a Milano - aveva dunque in lui uno dei protagonisti di maggior spicco. In un certo senso, l'altra faccia della medaglia rispetto a Klein, coi suoi "monocromi": l'estasi della materia e quella dello spirito. Non a caso alla mostra "Il vuoto" di Klein (nel senso anche orientale del termine), Arman rispose con l'esposizione intitolata "Il pieno". Ora, a sessantasei anni, l'artista prosegue nel suo percorso tra oggetti e materiali, e a Fenza presenta una serie di pezzi realizzati in botteghe faentine e imolesi. Un monumento di motori di scooters, naturalmente accumulati l'uno sull'altro, e macinini da caffé, tazzine, cassette per le lettere, macchine da cucire, caffettiere sezionate, caraffe. E una Fiat Topolino a grandezza naturale, ma tutta in ceramica. Arman è entusiasta del lavoro eseguito dai maestri ceramisti romagnoli. È giunto a Faneza visibilmente provato da un intervento chirurgico recente, ma non si sottrae alla conversazione. Dice, della sua "Caraffe Grise", che sono dei Morandi metallici. E precisa che non gli interessa produre delle forme nuove, ma lavorare sull'immenso campionario che già esiste, studiando la consistenza degli oggetti, la loro funzione, assegnando loro un ordine (o un ordinato disordine), un possibile dinamismo. Riguardo a certi oggetti tagliati - anche una "Venere" ha subiìto questo destino - spiega che sono da collegare e a memorie d'infanzia, quando il padre lo conduceva a visitare mostre di macchine di prodotti industriali e che venivano esposti aperti, in modo che l'interno fosse interamente visibile. «Mi attira molto - dice - ciò che rimane all'interno dell'oggetto, la sua parte nascosta». Se poi gli si fa osservare che col ricorso alla ceramica entra in gioco non solo l'oggetto ma la sua finzione e falsificazione (come nel caso della Topolino o dei motori o delle macchine da cucire, dove il modello vero è sommerso dagli altri in ceramica, risultando quasi irriconoscibile) risponde che «dopo Duchamp è ridicolo porsi un simile problema». E prosegue rovesciando il discorso sulla finzione: «piuttosto parlerei di messa in scena; nel mio caso, di oggetti che di volta in volta mi interessano». Di fronte a una sua "Venere" spaccata a metà con una serie di telefoni al posto delle viscere, l'artista ricorda che i surrealisti ammonivano che «la bellezza sarà convulsivao non sarà», quasi strizzando l'occhio a Ernst e Dalì.
 
IL PROGRAMMA: DAI FARNESE AL SETTECENTO GLI SPLENDORI DI TERRACOTTA
Faenza - Anche quest'anno per oltre un mese Faenza celebra il proprio ruolo di capitale della ceramica. Fino al 23 ottobre, la città romagnola ospita infatti le Manifestaziioni Internazionali della ceramica d'arte, promosse dal Comune e dal Museo internazionale delle ceramiche e allestite nelle sale del Palazzo delle Esposizioni. Cinque le rassegne in cui si articola la manifestazione, nel doppio segno della testimonianza storica e della documentazione di come gli artisti contemporanei lavorano la ceramica. Così dopo Baj, Burri e Matta, Faenza presenta quest'anno un altro protagonista dell'arte contemporanea, il francese Arman, con una serie di opere realizzate in alcune botteghe di maestri ceramisti faentini e imolesi. Le altre quattro mostre in cartellone ripercorrono altrettanti capitoli della storia della ceramica: "Nel segno del giglio: ceramiche per I Farnese" allinea oltre 100 pezzi frutto della committenza della famiglia nobiliare romana, particolarmente fiorente nel '500; la farmacia dei Gesuiti di Novellara mette in vetrina gli oggetti in ceramica e vetro provenienti dalla famiglia istituita dai Gonzaga alla fine del XVI secolo; la spezieria di San Benedetto a Montefiascone propone gli arredi della farmacia del monastero benedettino di Montefiascone, conservati nel museo di Palazzo Venezia; infine, dal Castello del Buonconsiglio di Trento viene una selezione di preziose porcellane europee del Settecento. Le manifestazioni faentine sono completate dalla quarta Biennale della ceramica di antiquariato, la mostra mercato aperta fino al 25 settembre.
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