«Aimer la beauté c'est voir la lumiere / Amare la bellezza è vedere la luce» scrisse Victor Hugo ed è questo l'obiettivo di questa mostra che riunisce alcuni artisti contemporanei e affermati che nei prossimi mesi saranno anche tra i protagonisti di mostre istituzionali. Parola chiave dell'esposizione è "Light" nel suo doppio significato di luce e leggerezza, entrambi concetti fondamentali evocati nelle loro opere tramite media differenti. Il motivo è così ripreso nelle leggere ma equilibrate sculture di Fausto Melotti, nelle luminose incisioni senza tempo di Giorgio Morandi, per cui come per Cézanne la luce è "tono", nei dipinti surrealisti dalla luce fantastica e nelle sculture tribali forgiate dal fuoco di Roberto Sebastian Matta, per arrivare al fragile e delicato mondo dell'artista contemporanea Claudine Drai, che terrà una mostra personale il prossimo ottobre al Centre Pompidou di Parigi.
Dopo la retrospettiva dedicata a Fausto Melotti nel 1999, la Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. è felice di esporre un'altra selezione delle sue raffinate opere. L'intera produzione di Melotti, dai primi disegni degli anni Venti alle sculture degli anni Ottanta, rende evidente che, come scrive Germano Celant: "il suo astrattismo va assunto in una prospettiva spiritualistica e metafisica, con riferimenti al simbolismo del sacro e del magico. E sebbene possa apparire irriverente dal punto di vista figurativo, ammette sempre alla sua origine lo spirito o la parola, il suono o il respiro con cui è stato costruito l'universo". Scultore, poeta, musicista e con una laurea in Ingegneria Elettronica, Melotti muove i primi passi nelle arti plastiche utilizzando la ceramica, con una produzione ampia ma raffinata che lo portò a collaborare con Gio Ponti all'interno delle sue architetture. Conosciuto per il gioioso e vivace uso dell'ottone, la sua produzione si caratterizza per le leggere sculture, non solo per la loro stessa costituzione che mira ad ab-strahere, tirare fuori la forma, producendo opere che sembrano liberarsi da una esistenza concreta, ma anche per il divertimento che richiedono nel coinvolgimento dello spettatore chiamato a costruire narrazioni fantastiche ed universi surreali attraverso le giocose irregolarità, le oscillazioni e le simmetrie delle stesse opere.
Claudine Drai manipola la carta velina e la carta giapponese per rendere visibile l'invisibile, materiale l'immateriale, dando forma alla genesi alla base della creazione. Le leggere e delicate forme così appena accenate escono dalla tela per giocare con la luce e l'ombra; e rendono eterno un mondo fragile animato da figure effimere, che come gli angeli, gli uccelli o i fiori, sono corpi senza corpo. La delicatezza delle sue creazioni è sottolineata dal bianco prevalente, che si traduce in trasparenze, illusioni e giochi di luce, in un'atmosfera dove il tempo è immobile. Attraverso la sua arte l'artista francese coinvolge non solo la vista, ma, idealmente, anche il tatto e l'olfatto. Claudine Drai ci offre una realtà arricchita di coscienza e sensazioni. Questo risveglio sensoriale apre il campo di un'avventura estetica dove il minimo contrappunto, la minima giravolta, la minima modulazione costruiscono il significato dell'opera. Nel 2021 il regista tedesco Wim Wenders è rimasto così affascinato dall'arte di Claudine Drai che ha deciso di girare un'opera di videoart in 3D dal titolo présence, esplorando sia le suggestioni che ne derivano sia l'atto di creazione dell'opera d'arte. È stato presentato in anteprima a Palazzo Grassi a Venezia durante la settimana di apertura della Biennale di Venezia nel 2022 e ora fa parte della collezione del Centre Pompidou. Dopo essere stata inclusa nella collezione Guérlain, a ottobre una grande installazione composta da più opere di Claudine Drai sarà ospitata dal Centre Pompidou fino al 25 febbraio 2025, quando l'opera entrerà nella collezione permanente del museo parigino.
«Matta è colui che più di tutti insegue il proprio destino, che forse è l'unico modo per scoprire il segreto più alto di tutti: il controllo del fuoco»: con queste parole André Breton descrive Roberto Sebastian Matta nel 1944. Architetto, pittore e - soprattutto - un virtuoso nell'uso del bronzo e dei metalli, è all'interno della sua stessa produzione artistica che si rivelano vere le parole del leader surrealista: le sue figure sono immagini di magmatica profondità, risalenti ad epoche geologiche antichissime e religioni mitologiche terrene. Nelle sue sculture, infatti, evoca tutte le tradizioni già esistenti: l'idolo totemico delle antiche civiltà con gli occhi di serpente derivato dalla cultura Inca o Azteca si fonde con le divinità feconde e naturali degli Etruschi, in un'incessante ricerca delle radici della storia dell'umanità, che si fonde con gli studi dell'artista sull'arte oceanica e primitiva come quella africana, molto in voga tra i maggiori artisti del secolo scorso. Come maestro del fuoco, Matta ha forgiato il bronzo in sculture che ricordano antichi dèi e dee, che emergono da un passato preistorico e antico, dalla cultura greca, mediterranea o sudamericana. La luce eterna, il fuoco, è ciò con cui vengono concepite queste opere. Inoltre, nell'idea di Matta, l'uomo è fatto della stessa materia delle stelle: la luce. Quella stessa luce che egli rappresenta nell'arte con le sue morfologie psicologiche, siano esse di colore o di bronzo.
Infine, la maestria di Giorgio Morandi si esprime pienamente in una selezione delle sue acqueforti, dove la leggerezza diventa silenzio. Per più di venticinque anni è stato docente di acquaforte presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna. Le opere su carta in mostra, silenziose ma potenti, svelano uno dei fondamenti della sua poetica, ovvero suggerire un intero universo lirico attraverso una studiata economia di soggetti così come di linee: oggetti comuni e semplici, come vasi, bottiglie, fiori, conchiglie e paesaggi che osservava nel suo studio o affacciandosi ad una finestra, sia in Via Fondazza che a Grizzana. Seguendo Cézanne che dichiarava che «l'ombra è un colore come lo è la luce, ma meno brillante; luce e ombra non sono che il rapporto di due toni» Giorgio Morandi dedicava il suo tempo a incidere la lastra, studiando come dare un'espressione visiva alla luce. Le sue acqueforti mostrano il gioco cromatico limitato al contrasto tra il segno inciso e la carta, tra il tratteggio e lo spazio lasciato volutamente bianco nella composizione che dà la sensazione di rimanere accecati guardandola. Per Morandi l'acquaforte è pura ricerca luminosa, espressa nella sua massima potenza utilizzando un tratto più denso o più rarefatto fino a quando il tratto stesso diventa assente. L'acquaforte permise a Morandi di esprimere il potere accecante della luce con un risultato non raggiungibile in pittura, dando vita ad un accostamento di luci ed ombre che avrebbe generato le forme delicate degli oggetti stessi. È in queste opere che la capacità evocativa del mondo intimo e meditato di Morandi emerge nella sua essenzialità.