Antoni Clavé torna ad esporre tra le mura della Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. di Bologna. Le opere più significative dell'artista catalano guideranno lo spettatore all'interno di una produzione generosa e irrompente, ricca di svolte e fatta di sperimentazioni ardite con tanti slanci verso il nuovo e l'inconsueto, il tutto filtrato dal ricordo della calda terra natale.
Uomo alla costante ricerca di valori perduti e scrigno di ricordi della terra natale, la Spagna, Antoni Clavé torna alla Galleria d’Arte Maggiore g.a.m. di Franco e Roberta Calarota, ora diretta dalla figlia Alessia, con una grande mostra antologica che lo rivela, ancora una volta, come una delle più rilevanti figure dell’arte contemporanea, un artista a tutto tondo, capace di adattare le diverse tecniche artistiche alla propria personalità pur di svelare le sue aspirazioni più profonde. La sua formazione comincia nel 1926 alla scuola di Belle Arti di Barcellona e sebbene la sua produzione parta da un tipo di figurazione intimista sulla scia di Bonnard e Vuillard, progressivamente si delineano i tratti base della sua poetica: l’uso del colore e l’instancabile sperimentazione con la materia e le tecniche artistiche. È infatti a partire dagli anni ’30 che Clavé familiarizza con la tecnica del collage e nel suo lavoro entrano i più svariati materiali: cartone, velluto, legno, ferro, stoffa, lastre di rame, bronzo, spago, olio, gesso, carte sgualcite, giornali. Tutto tra le sue mani acquista nobiltà, anche la sostanza più povera è degna di essere considerata e usata. Ogni oggetto scoperto dal rigattiere e nei mercatini delle pulci (i cenci, le sete, i velluti sgualciti e consumati, i sacchi e le vecchie cortine) nei suoi quadri diventa arte. Da virtuoso delle materie che amalgama per estrarne la quintessenza attraverso mezzi sobri e alle volte poveri, Clavé trasforma il quadro in un incantesimo, incorporando i collages alle tele o dando l’impressione di aver utilizzato questa tecnica. Esule in Francia nel 1939, Antoni Clavé trova nella ville lumiere la sua seconda casa ed entra in contatto con il gruppo di artisti spagnoli che fanno parte della cosiddetta “Scuola di Parigi”. Da qui alle collaborazioni con le più importanti gallerie della capitale, il passo è breve. Animato dall’influenza di Picasso nel 1944 la sua ricerca si volge verso l’arte litografica, la produzione di assemblages e di sculture oggetto. Ma è solo alla vigilia degli anni ’50 che si apre la sua grande stagione artistica, caratterizzata da colori che fendono la tela dopo averla tessuta, segnata, impressa di tracce laboriose. Da questo momento in poi, in ogni sua opera il colore puro sarà protagonista e darà la forma alla figura, compenetrata di attenzione e di fissità. Con lui ci si addentra negli echi del tonalismo, tutto è fatto di nuance pure o miste. E non è un caso se tra i suoi meriti c’è anche quello di aver riscoperto e utilizzato toni denigrati dagli altri artisti come il nero, il grigio e il blu di Prussia, a volte solcati da macchie più chiare o da punte di rosso che illuminano la tela e le danno un bagliore singolare. E sono proprio i colori e le improvvise cristallizzazioni la mappa da seguire per entrare nel suo universo irreale, mentale, allucinato, tra spazi plastici che prendono corpo. In una produzione così ricca, fitta di svolte e sperimentazioni, Clavé resta fedele alla propria vocazione di artista che “prend ce qu’il lui fait où il le trouve”, utilizzando la materia come mezzo la cui nobiltà è determinata dal buon uso che il maestro sa farne. Un “combineur des choses” che utilizza diversi materiali con un’originalità irriproducibile. Negli ultimi anni della sua vita Clavé si dedicherà a una pittura astratta singolarmente lirica e diretta verso una depurazione di schemi formali.