Nel 1993 Franco e Roberta Calarota, fondatori, della Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. hanno realizzato una mostra innovativa dedicata a Gino Severini. In occasione di "Gino Severini. La regola, la maschera, il sacro", Franco e Roberta Calarota hanno ricostruito l'originale ed intera "sala delle Maschere" del Castello di Montegufoni, dipinta da Gino Severini nel 1921. L'opera fu commissionata a Severini da Sir Osbert George Sitwell, ultimo proprietario del Castello. La mostra presenta un excursus sull'opera di Gino Severini e come lo stesso Severini dichiara: «i personaggi della "Commedia dell'Arte" mi ha dato la possibilità di umanizzare la geometria e di aggiungere quel senso di fantastico e di misterioso che è stato usato dai Surrealisti». Una curiosità: durante la Seconda Guerra Mondiale, alcuni capolavori come la "Primavera" di Sandro Botticelli e la "Madonna di Ognissanti" di Giotto sono stati trasportati dagli Uffizi per essere nascosti e protetti.
Verso la fine del 1920 il mercante d'arte Léonce Rosemberg comunica a Gino Severini, allora in permanenza nella casa di cura di Bligny, che un suo importante cliente di Londra, Sir George Sitwell Bart, insieme ai suoi figli Edith, Osbert e Sacheverell, hanno intenzione di affidargli la decorazione di una sala del loro Castello di Montegufoni, presso Firenze. Se all'inizio i committenti erano indecisi se incaricare Severini o Picasso, ora offrivano al maestro italiano delle buone condizioni economiche ed una permanenza di sei mesi in Italia. In cambio di questa mediazione Rosemberg chiede a Severini una ventina di guazzi con scene della Commedia dell'Arte Italiana, molto vicine a un "Arlecchino" precedentemente inviato a Sitwell come prova conoscitiva del proprio lavoro.
Severini, che a partire dal 1917 stava superando il linguaggio cubista per orientarsi verso l'idea di un "realismo poetico" caratterizzato da una costruzione plastico-geometrica di matrice classica, inizia l'opera di Montegufoni nella primavera del 1921. Stabilito che dovrà decorare un piccolo locale vicono ad un salotto, l'artista comincia a pensare le sue composizoni di maschere e nature morte, all'interno di aree ricavate da una suddivisione matematica degli spazi, nella quale anche le porte e le finestre partecipano dello schema geometrico. Emerge con chiarezza lo spirito toscano del pittore, il suo bisogno di ordine e chiarezza che è il denominatore comune della sua opera; la sua passione per la potenzialità poetica del numero e per quel rigore di costruzione rintracciabile sin dalle sue prove divisioniste e futuriste.
Quello di Severini è uno spirito toscano che guarda alla sezione aurea e a Piero della Francesca, e che satura le scene all'aperto abitate da Arlecchino, Pulcinella, Peppe Nappa e Tartaglia, della stessa luce azzurra e limpida che troviamo nelle celebri opere del maestro di Borgo San Sepolcro. Ma gli spazi delle scene dipinte nel castello di Montegufoni non si presentano come ingannevoli sfondati prospettici: appaiono piuttosto in qualità di spazi simbolici popolati da nature morte e da maschere dal significato allegorico: simboli che rimandano alla società contemporanea e alle sue contraddizioni, al quel "disagio della civiltà" che non poteva di certo essere raccontato dalla ragione classica o dal dinamismo futurista.