Dopo la presentazione nel 1999 di una serie di opere che Allen Jones ha realizzato tra il 1987 ed il 1999, tra cui Believe it or not (1999), una tecnica mista su legno realizzata espressamente per l'occasione, torna negli spazi della sede bolognese della Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. una mostra monografica sviluppata su una selezione di quadri e sculture che l'artista britannico ha realizzato dal 1966 al 2001 e che ben rappresentano tutto il suo universo visivo: dai manichini alle sculture, dai dipinti a campiture piatte degli anni Sessanta, fino ai risvolti più lirici dell'ultimo periodo. La mostra si divide in due parti: una nella sede della Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. di Bologna e l'altra presso la sede istituzionale di Palazzo dei Sette a Orvieto, con il patrocinio della regione Umbria.
Per uno dei maggiori rappresentanti della pop art britannica è l'universo femminile, evocato attraverso tinte forti e forme semplificate, a costituire il punto di riferimento per la creazione di un lessico visuale in grado di rendere manifesto lo sfarzoso voyuerismo occidentale che ha plasmato il nostro mondo di percepire e relazionarsi con l'altro. Il mondo di Allen Jones è un mondo dove pittura scultura non trasformano l'oggetto massificato in icona, ma si plasmano e configurano sull'icona per eccellenza del desiderio: il corpo femminile idealizzato secondo i canoni estetici dell'universo dei media e della pubblicità. Quello che si coglie nelle opere di Jones è un desiderio che evoca con ossessiva freddezza la donna, caricata della potenza muta di una icona massificata, di una visione della bellezza che ha avvicinato il corpo al prodotto di consumo che si può trovare in negozi da catena di franchising. In linea con le suggestioni del movimento Pop, interessato a rintracciare i meccanismi estetici delle nuove dinamiche di produzione e consumo di massa, Allen Jones racconta la dimensione di un eros che si adegua ad un processo di generalizzazione, in un'epoca "che ha fatto dello stereotipo la griffe di qualsiasi pensiero" (Franco Basile, Il mito col silicone, in AA.VV., Allen Jones, believe it or not, G.A.M. Edizioni Maggiore, Bologna 2002). Grazie alle fattezze patinate nelle quali le donne di Allen Jones prendono forma, si crea un freddo distacco con cui l'artista è capace di trattatare il tema del consumismo attraverso una sua analisi ironica e demistificante. Così le sue pin-ups diventano traslazioni in chiave iconica dell'essere feticcio, desideri cristallizzati ma immersi nella dimensione dell'usa e getta, dell'effimero e della precarietà che è la cifra distintiva di tutti i prodotti superpubblicizzati. Nella dimensione critica in cui collocare questi lavori c'è però anche spazio per il sogno e per l'evasione: si colgono nei profili stilizzati delle sue figure simboli che rimandano ad una favola in cui credere, a mondi in cui potere immaginarsi divagare. E così, oltre che un godimento visivo dato dal pulsare delle varianti cromatiche che si contaminano reciprocamente, l'opera dell'artista di Southampton si fa portavoce di "una concettualità portatrice di memorie e sogni, da qui un linguaggio meno pragmatico rispetto a quello della pop art americana, ma con espressioni sviluppate tra figurazione e astratto per giungere a felici indugi nell'area dell'incanto, per traghettare i pensieri da un'ordinaria realtà a un universo parallelo fatto di citazioni oniriche e attraversato da personaggi catturati allo stato inventivo" (Franco Basile, Il mito col silicone, in AA.VV., Allen Jones, believe it or not, G.A.M.Edizioni Maggiore, Bologna 2002).