«L'impulso di prendere uno stecco e con esso tagliare violentemente la creta, quello di agitare dolcemente col palmo della mano la sua superficie per farla palpitare alla luce o, con esso di spianarla in una scabra ed arida distesa. Questi impulsi nascono da sentimenti profondi, mi accompagnano sotto la mia coscienza d'ogni giorno, raffiorano a tratti nitidi [...] è il sentimento che prende immagine, solo che nasce da se stesso non da un "oggetto rispecchiato"». (Leoncillo Leonardi, Piccolo Diario, 1957 in AA. VV. Leoncillo, G.A.M. Edizioni Maggiore, Bologna 2002)
Sono queste le parole con cui Leoncillo descrive in una pagina del proprio diario, l'impulso che nutre la sua prassi creativa. Parole che oggi rendono partecipi i lettori del profondo rigore psichico ed emotivo che alimenta la sua arte. Una serie sfaccettata di evocazioni e sentimenti che possono essere ripercorsi nelle sale della Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. che ospita, per questa occasione, una accurata selezione di sculture e opere su carta che illustrano l'attività artistica di Leoncillo dal 1938 fino alla seconda metà degli anni Sessanta.
La carriera artistica di Leoncillo, nato a Spoleto nel 1915, è già pienamente avviata a partire dagli anni Quaranta quando partecipa alla VII Triennale di Milano su invito di Gio Ponti e quando firma, nel 1947, il manifesto della Nuova Secessione Artistica Italiana, diventata poi Fronte Nuovo delle Arti, che si distingue per l'attenzione alla modernità che pervade l'Italia del dopoguerra e l'apertura al dialogo con l'Europa. È Alberto Moravia a notare durante la prima mostra del collettivo l'arte "difficile e singolare" di ispirazione neo-cubista di Leoncillo, ben presto protagonista di sei edizioni della Biennale di Venezia a partire dal 1948, la più memorabile delle quali rimane la storica partecipazione nel 1954 in cui gli viene dedicata una sala insieme a Lucio Fontana. Due anni dopo, nel 1956, Leoncillo è chiamato a realizzare il Monumento ai Caduti di tutte le guerre di Albissola Marina, una silenziosa testimonianza fatta di statue che si aggirano come fantasmi su un basamento vuoto, di cui la Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. espone in mostra un pregevole bozzetto. Proprio in quegli anni, Leoncillo vive un periodo di profonda crisi esistenziale, ideologica e artistica, che si traduce in una svolta fondamentale per la sua maturazione, portandolo ad abbandonare il linguaggio post-cubista a favore di quello informale e a creare opere volte a restituire l'emozione e il senso della natura: "Se è vero che la figurazione non serve più nè a noi nè agli altri allora buttiamolo via anche questo surrogato della "forma". Non ho proprio nessuna voglia di inchinarmi a questo dio. [...] E allora quello che voglio, che debbo fare nascerà come un nuovo oggetto naturale, come una pianta che fa le foglie. Foglie che "se non le sapessimo già" sarebbero di forma imprevista. Un nuovo oggetto naturale profondamente vero della nostra naturalezza, come una pietra che è della terra, come la foglia dell'albero, come questa mano che è la mia. Un nuovo oggetto naturale che divenga con stratificazioni, solchi, strappi che sono quelli del nostro essere, che esca come il nostro respiro" (Leoncillo Leonardi, Piccolo Diario, 1957 in AA. VV. Leoncillo, G.A.M. Edizioni Maggiore, Bologna 2002)
Testimoni di questo profondo cambiamento sono alcune opere presenti in mostra come l'intenso Taglio rosso del 1963, sospeso tra metafora e memoria, ed alcuni lavori su carta che mettono in luce come l'artista sia riuscito a trovare proprio in questo linguaggio lo strumento più adatto per esprimere la lotta profonda e continua che lo anima e che lo consacra al successo internazionale con esposizioni a Parigi, New York, Lubiana, Napoli e Montréal a partire dai primi anni '60.