Con la mostra di apertura del nuovo anno, la Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. offre l'occasione rara in Italia di ammirare il lavoro di Robert Motherwell, artista colto e raffinato che ha saputo dare una delle interpretazioni più originali della grande stagione dell'Espressionismo astratto americano. Dopo la preview durante la settimana di Arte Fiera, la mostra - a cura di Alessia Calarota - inaugura ufficialmente il 4 febbraio con una selezione di lavori che rivelano la ricca eredità culturale lasciata dall'artista alle generazioni successive. Assimilata l'esperienza cubista e surrealista, Motherwell approda ad una pittura gestuale in cui l'astrazione e l'interesse per il dato formale non gli impediscono di inserire tematiche personali, politiche e letterarie attraverso cui «esprimere ciò che succede dentro gli esseri umani», in un'unione mentale e fisica con le opere d'arte stesse.
Robert Motherwell
By Year exhibition
I lavori di Motherwell – che siano olii, stampe o collage – sono caratterizzati da forme semplici e piatte in cui il colore, dal nero ai toni caldi e brillanti, crea un gioco di netti contrasti con lo sfondo sul filo di un equilibrio perfetto tra pennellate che sono al contempo libere e controllate. C'è alla base la lezione del Surrealismo, che l'artista conosce prima a livello accademico e poi durante un viaggio in Europa nel 1938. Il lasciarsi andare all'intuito e all'"automatismo" delle associazioni tipico di quel movimento, servirà a Motherwell per andare succesivamente ad indagare temi di portata universale come l'origine dell'uomo, il rapporto con la vita e la morte, le riflessioni su oppressione e rivoluzione, vincendo però la sfida di riuscire a convogliare queste tematiche attraverso una pittura gestuale. E' a New York che si avvicina infatti ad artisti come Jackson Pollock, Willem de Kooning e Mark Rothko che lo introducono all'Espressionismo astratto, di cui in breve tempo ne diventa uno degli esponenti più noti, raggiungendo la piena maturità alla fine degli anni Quaranta con grandi lavori in cui è facile riconoscere l'influenza delle forti immagini in bianco e nero di Franz Kline. In netta contrapposizione alla Pop Art, movimento contemporaneo in quegli anni, Motherwell esamina temi più introspettivi, forse spinto anche dalla formazione nelle più prestigiose università del Paese che ne fecero un fine intellettuale, sicuramente l'artista della Scuola di New York con l'educazione formale più solida e ampia che spazia dall'arte, alla letteratura e alla filosofia. L'artista si rispecchia nelle parole di Baudelaire per cui "la pittura è una vocazione, un'operazione magica il cui significato poteva essere letto solo come si legge la natura: come un vasto sistema di analogie". Nelle opere di Motherwell infatti entra la sua biografia, le esperienze più diverse che assimila grazie ad una naturale tendenza all'analisi interiore, poi rafforzata dagli studi, le suggestioni date dai suoi innumerovoli viaggi – tra cui sicuramente quello in Messico insieme a Roberto Sebastian Matta nel 1941 – e il suo rapporto mai passivo con il mondo e gli eventi che ne segnano la storia. Un artista che ripone nell'esperienza estetica l'ultimo e unico appiglio di un possibile riscatto della nostra civiltà dopo gli orrori della guerra, liberando sulla tela l'oscurità del nostro inconscio.