Spiritato diabolico lunatico irrazionale capriccioso bizzarro, molti sono gli aggettivi che si attagliano a questo giovane pittore di sbrigliata fantasia, e d'orgogliosi intenti maturato a Torino che è già città boreale anche se le cicogne non vi nidificano ancora ed i tetti delle case vi sono assai meno pendenti che ad Ulma o a Norimberga.
Da Buratti a Bosia, Damilano, Quaglino, parecchi nostri pittori hanno derivato una certa loro maniera giovanile da esemplari nordici o più propriamente fiamminghi per mantenerla in un ordine dialettale illustrativo e folcloristico, e poi abbandonarla per altre esperienze o ripiegamenti su terreni meno infidi: ma lungi dalle diaboliche soglie con tanto splendore toccate dagli impareggiabili maestri del lungo medioevo di lassù.
Mattia Moreni, invece, ci vuol dire d'essere andato ben oltre in quel mondo vietato ai mortali di poca immaginazione e d'averne riportato mandragole venefiche, nidi così zeppi d'uccelli da fermentare in una macerazione di penne, frutti magati dalla luna, un lembo del mantello di Oberon.
Noi che amiamo tutte le favole, gli prestiamo volentieri ascolto fingendo di credere che acque colorate con innocui ingredienti siano davvero mortali; ed anche se ci accorgiamo subito che il mantello di Oberon è di rayon e ch'è pericoloso volare su certi tappeti a buon prezzo, non gridiamo alla mistificazione, ma ci sentiamo disposti ad incoraggiarla purchè diventi tanto abile da incantare anche noi. Per ora il macabro carnevale dei suo quadri non ci trascina, bensì ci lascia spettatori interessati ed anche plaudenti alla coraggiosa determinazione dell'autore; ma qualche suo disegno ci dice davvero d'intuizioni che non avevamo ancora veduto spiegate dai pittori di casa nostra come del male che fanno le penne quando crescono, dell'angoscia per uscire dal caos, per districarsi, per metamorfizzarsi. E non è poco, a dispetto della pittura tonale.
Italo Calvino
"Mattia Moreni" in "Agorà", II, 3, 1946, p. 26
La mostra dedicata a Mattia Moreni nella storica sede di Bologna della Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. oltre a celebrare l'instancabile ricerca e l'innato spirito anticonformista dell'artista, «ci dice davvero d'intuizioni che non avevamo ancora veduto», come scrive Italo Calvino nel 1946 nel testo che accompagna anche questa mostra, come curatore d'eccezione. Seguire gli sviluppi della pratica artistica di Moreni, visibili in mostra, significa ripercorrere alcuni degli snodi fondamentali della storia dell'arte del dopo guerra che l'artista ha sempre vissuto da protagonista e da anticipatore e che la Galleria Maggiore ha illustrato, sotto la cura scientifica di Enrico Crispolti, nel Catalogo Generale, con cui è culminato il lungo lavoro della Galleria Maggiore come Archivio dell'artista. La mostra, a cura di Roberta Calarota, si sofferma su alcuni momenti decisivi della sua continua evoluzione: la grande e fortunata stagione Informale, la famosa serie delle "Angurie" fino all'ultima parte della sua ricerca dedicata agli "Umanoidi": una riflessione sull'impatto della tecnologia e dell'informatica nella nostra quotidianità, che non solo anticipa l'attuale dibattito sull'intelligenza artificiale, ma rende anche la sua opera la prima a confronto con l'innovazione dei giorni nostri. Un ciclo che consacra Moreni come un autentico precursore e un lucido visionario, che ha saputo capire già dagli Anni Ottanta la direzione, non affatto scontata all'epoca, in cui la nostra società si sarebbe mossa a gran velocità nei decenni successivi.
Il lungo e articolato percorso artistico di Mattia Moreni (Pavia, 1920 - Brisighella, 1999) ha inizio con un primo avvicinamento alle correnti del primo Novecento di matrice fauve, espressionista e successivamente cubista, guardando soprattutto a Picasso e Léger. Nel 1952 entra nel Gruppo degli Otto, fondato da Lionello Venturi, con Birolli, Afro, Corpora, Morlotti, Vedova, Santomaso e Turcato, al quale aderisce fino alla svolta verso la pittura informale, trovando di fatto una soluzione al precario equilibro dell'astratto-concreto tipico del Gruppo degli Otto. A questo periodo appartengono alcune tra le opere in mostra. Tipici della produzione informale sono un segno grafico forte, quasi violento e una sempre maggiore attenzione al tema del rapporto tra uomo e natura - una costante della produzione di Moreni, che porta lo storico dell'arte Francesco Arcangeli ad inserirlo tra gli ultimi naturalisti.
Nelle opere del periodo informale Moreni produce visioni apocalittiche nelle quali il segno impetuoso, volutamente barbarico, disgrega la natura. Allo stesso tempo, l'evoluzione del suo stile vede un inspessimento dello strato pittorico e una più accentuata tensione emotiva. Se da un lato sceglie di andare contro i principi logico-razionali, dall'altro compie un ritorno alla piena concretezza del procedimento linguistico attraverso gli strumenti della pittura e "altro" rispetto alla realtà. Per gli Informali diventa necessario sconvolgere la visione tradizionale del mondo.
Dal 1964 Moreni si è dedicato al celebre ciclo delle Angurie, raccolte in una sala personale alla Biennale di Venezia del 1972. Inizialmente naturalistiche, le angurie subiscono nel corso del tempo ingrandimenti e metamorfosi inquietanti, fino ad assumere dei significati metaforici sessuali.
L'ultima fase artistica di Moreni è segnata dal progresso dell'informatica e delle tecnologie elettroniche avvenuto negli ultimi decenni del XX secolo che colpiscono molto l'artista che tra il 1995 e il 1999 realizza una serie di dipinti con figure di umanoidi contraddistinti da un corpo integrato dalla tecnologia con protesi mostruose e un'apparenza antropomorfa. Nella serie degli Umanoidi i colori, molto accesi in questa fase, vengono stesi a volte direttamente dal tubetto sulla tela. Di stampo esplicitamente espressionista, sulle tele sono spesso presenti anche scritte criptiche e anticipatrici della nostra epoca. Moreni aveva intuito che in un mondo pervaso dalla tecnologia, l'arte, ma anche il nostro stesso corpo, la nostra mente, il nostro approccio alla fruizione, non sarebbero stati più gli stessi.
Nel 1946 viene organizzata la sua prima mostra personale alla galleria La Bussola di Torino. Nel 1948 esordisce alla 24a Biennale di Venezia, dove esporne regolarmente fino al 1956, e alla V Quadriennale di Roma. Nel 1953 partecipa alla mostra itinerante del Gruppo degli Otto e alla Biennale di San Paolo e due anni dopo viene invitato alla prima edizione di Documenta a Kassel. Il 1956 è l'anno della sua prima sala personale alla 28a Biennale di Venezia, seguita dalle edizioni del 1960 e del 1972.
Le opere di Moreni fanno parte delle collezioni permanenti di numerosi musei italiani e internazionali, tra questi: il Museo del Novecento a Milano, la Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino, il Ludwig Museum di Colonia, il Mart di Rovereto, il MAMbo di Bologna, la Galleria degli Uffizi di Firenze e la Galleria d'Arte Vero Stoppioni di Santa Sofia, in provincia di Forlì-Cesena, dove sono conservate alcune delle sue ultime opere.