Giorgio De Chirico (1888-1978) è certamente l'artista italiano del ventesimo secolo che maggiormente ha preso distanza dalla "realtà naturale": con decisa consapevolezza, ripara l'arte dalla contingenza, la pone al di fuori del tempo e dello spazio dell'esperienza sensibile, ne coglie l'enigmatica immobilità, l'incongruenza con le trasformazioni sociali, optando per una sorta di classicità inquietante costruita sulla stratificazione culturale di miti e modelli. La sua natura è sempre un paesaggio culturale e i libri, come gli archetipi pittorici, sono l'incanto metafisico di una realtà altra e pur sempre presente, non condizionata dalle presunte rivoluzioni e non sottomessa - come invece sono le Avanguardie - agli eventi storici da preconizzare o indirizzare in modo ausiliare verso un progetto politico.
La selezione di opere presentate nella Sala dello Stabat Mater dell'Archiginnasio di Bologna intende porsi in modo esemplare nell'enfatizzare tali aspetti della poetica di De Chirico avvantaggiandosi del contesto espositivo. I lavori, collocati al centro di un'essenziale struttura geometrica, sono rappresentativi dei principali temi cari all'artista e, insieme, costituiscono un prisma con cui rivolgersi allo spazio circostante per riconoscere la densità culturale di un luogo impareggiabile, che pare miracolosamente sottratto alle vicende secolari.
I dipinti sono accompagnati da un eccezionale contrappunto: alcuni tesori della Biblioteca, ossia volumi storici di rilevanza straordinaria, sono stati selezionati così da riconoscere - nelle pagine aperte e presentate con passione didattica in vetrine - alcuni modelli iconografici e riferimenti culturali che paiono dialogare con i quadri, confermando l'immaginario classico di De Chirico e i fondamenti di una metafisica che, nel suo evidente ambire alla dimensione del "mito", è da riconoscersi anche come meta-storia.
Tra questi il Polifilo stampato da Aldo Manuzio nel 1499, le Imprese di Andrea Alciati del 1551, i cinque libri delle Symbolicarum quaestionum di Achille Bocchi del 1555, le Antichità romane di Giambattista Piranesi del 1756.
Il gusto per l'antico, il fascino del décor archeologico, il carattere enigmatico del frammento, la reinterpretazione dell'immagine classica trovano straordinarie corrispondenze in questi ricercati repertori grafici messi in circolazione dall'arte della stampa. Le illustrazioni presenti nei volumi esposti sono state scelte soprattutto per restituire l'emozione del dialogo con la pittura delle idee e dell'evocazione poetica ed iconica del mondo antico e dei suoi misteri di De Chirico pictor classicus che, in un suo autoritratto del 1911, dipinse l'iscrizione: ET QUID AMABO NISI QUOD AENIGMA EST?