“[...] Ogni cosa, anche la più banale, è talmente densa di significati da essere potenzialmente infinita. E non sono tanto le cose in sé, ma questo infinito delle cose che cerco di trattenere nel quadro, racchiudendolo, incollandovi sopra degli oggetti o anche, semplicemente, dipingendoli, perché il segno può sottolineare il loro spirito, impadronirsi dello spazio. Il segno è come una calligrafia, è lo scheletro, la struttura della materia: per questo io lo traccio per ultimo, quando il dipinto è già arrivato al suo stadio finale.”
Dall'intervista di Martina Corgnati a Nino Longobardi, edizioni Sigma, 1991.
Per Nino Longobardi la forma di partenza ideale per ogni rappresentazione figurativa è la figura umana maschile che diviene l'elemento centrale di tutta la sua produzione artistica, sempre resa con pochi tratti sintetici ed una gamma cromatica ridotta - grigi, neri, terre. Attraverso una progressiva scarnificazione della figura umana, la sua ricerca approfondisce la sua riflessione sul rapporto vita/morte, condotta attraverso presenze figurative ridotte ad ombre, ad impronte. Scheletri e teschi, liberati da qualsiasi elemento macabro, morboso o funereo si manifestandosi come elementi in grado di esplorare una bellezza germinale, andando a costituire una costante delle sue opere e determinando un legame profondo con la tradizione partenopea ed il suo repertorio di teschi dipinti o scolpiti, ossa organiche, sante reliquie e calchi di Pompei, tutte fonti d'ispirazione per l’artista napoletano.
“non mi preoccupo mai del messaggio da trasmettere, ma di come dire; non parto dai significati connessi alla forma che scelgo, ma dai segni, che, andando in profondità, non tollerano pentimenti o correzioni. Essi mi vibrano addosso mentre dipingo; io devo solo ordinarli. E se l'artista sa ordinare I segni, nasce naturalmente, il discorso. E l'opera acquista ritmo, movimento, tensione”.
da "Nino Longobardi" – Palazzo Reale, Milano, luglio 1998